Reliquiario multiplo

Il grande sisma del 1783 segnò la distruzione e la conseguente dispersione del patrimonio artistico custodito nella Certosa dei Santi Bruno e Stefano; molte opere vennero trasportate nelle chiese del vicino centro di Serra divenendo, talvolta, il fulcro di nuove riconfigurazioni decorative. Nella sagrestia della Certosa, ricostruita dopo il terremoto, trovò collocazione un’importante opera d’arte e di devozione regalata dalla contessa Adelaide, moglie del conte Ruggero il Normanno a San Bruno: si tratta di un grande Reliquiario medioevale, oggi custodito nella navata destra della Chiesa Matrice. Dom Benedetto Tromby, storico certosino, definì il reliquiario “l’unica, e sola cosa, che si è trovata di buono in un così celebre, e sontuoso, per quanto portava la semplicità, d’allora, lasciato Santuario da nostri maggiori”. Considerata la rilevanza dell’opera, affermò con certezza che “esser non poteva giammai se non se acquisto di una persona assai qualificata” identificando il donatore con una delle figlie del conte Ruggero il Normanno. La sua descrizione è, pertanto, molto dettagliata: “Teneva circa palmi 7 d’altezza, e largo a proporzione. Tutto stava congegnato di Ebano con più registri di Nicchie sostenuti da due colonnette, ciascuna colle loro basi, e capitelli; meravigliosamente lavorate della stessa materia. In mezzo ad ogni una di esse s’alzava un picciol vasetto col suo coperchio d’avorio. E dentro si stavano colle loro cartelline i nomi delle suddette SS. Reliquie. Alcune però delle medesime stavan chiuse in Teche d’argento, che interziate con arte da capo a fondo in certi vani tra l’una Nicchietta, e l’altre facevano uno spicco graziosissimo. Ma in mezzo, allogato in forma di croce, un notabilissimo pezzo alla lunghezza di un dito del legno Santissimo in dove Gesù Salvator nostro offrissi all’Eterno Padre in redenzione del Genere umano, contribuiva mirabilmente a promover la pietà e la devozione”. A causa della sua importanza, dunque, la preziosa opera aveva una sua precisa, autorevole collocazione all’interno della Cerosa: “Tutta questa macchinetta sita, e posta si rinveniva nella Cappella del lato sinistro del Maggiore Altare, che serviva, per cantarsi i divini uffizi di Coro. Ivi eravi insieme un Altare portatile coll’Immagine dipinta di S. Stefano nella parte interiore; ma nella posteriore, con vetrata in avanti, poggiava detto Tabernacolo ligneo colle S. Reliquie, tenuto in somma venerazione. Il medesimo Reliquiario, sebben ritornati i nostri P. nella suddetta Casa di S. Stefano, cambiato avesse di sito, stante la nuova disposizione, che di mano in mano andossi facendo agli edifizi; pure, quantunque molto patito per l’umido, mantenessi saldo fin a dì nostri”.  Fu così che l’antica struttura in ebano distrutta a causa dei danni dovuti al tempo e all’umidità fu sostituita nel 1736 con una più ampia e di rame dorato e posta nella Cappella della nuova Sagrestia con l’aggiunta del Corpo intero di S. Antioco e di altre SS. Reliquie. Recentemente, nel corso di un superficiale intervento di pulitura del grande reliquiario sono emersi, sotto uno spesso strato di polvere, e dietro un vetro sporco, una placchetta raffigurante San Demetrio e una Madonna Aghiosoritissa in metallo sbalzato. San Demetrio, nimbato, dalla figura ieratica frontale, con la mano sinistra aperta e una croce nella destra, è abbigliato con tunica e pallio. L’immagine appartiene stilisticamente all’XI secolo e potrebbe essere il coperchio di una scatoletta cilindrica contenente le sue reliquie. Facile, dunque, ipotizzare che la brattea sia da ricondurre agli opifici costantinopolitani. Impossibile stabilire quale metallo sia stato usato per il lavoro. Interessante è pure la figura della Madonna Aghiosoritissa che, con le braccia rivolte verso destra, fa percepire di essere intenta a pregare il Crocifisso o il Cristo Pantocratore in una raffigurazione di Deesis. L’immagine appare scontornata per consentire la vista, sullo sfondo, delle reliquie di Santa Gemina. Inoltre alcuni pezzi di madreperla, ritrovati in Certosa, in una scatoletta di cartone, si possono ricondurre all’antica raccolta di sacri depositi contenuti nel grande Reliquiario che contiene pezzi diversamente databili: dieci volute a “S”, fitomorfe, con relativo perno, una colonnina con capitello e plinto, un fastigio, un elemento decorativo quadrato e una voluta su cui si legge frammentariamente la scritta “S PARPARA”: Vanno inoltre segnalati altri dieci pezzi dello stesso materiale con fori circolari contrassegnati da numeri romani e dalla scritta “STA”, chiaro riferimento alle stazioni della Via Crucis. Tutti questi oggetti potrebbero essere stati gelosamente conservati dai monaci a causa del loro antico contatto con i pignora sanctorum, concomitanza che le ha fatte diventare, a loro volta, reliquie.