Nella storia della certosa il 1783, anno del terribile sisma calabro-messinese, assume il valore di una demarcazione tra il prima e il dopo. Il terremoto sottopone i certosini a una difficile prova: la certosa inabitabile, il perimetro della clausura sconvolto, la regolare osservanza profondamente
sovvertita a causa dello stato penoso dei luoghi della vita monastica e i beni del feudo completamente espropriati. Il feudo monastico certosino, a quell’epoca, non coincideva certo con
le sole immediate “pertinenze” di Serra e Spadola, ma comprendeva, nel suo nucleo più consistente, anche i territori di Bivongi, Montauro e Gasperina. Una descrizione dettagliata dello stato degli edifici della certosa così racconta: «Poco lungi dalla Serra è collocato il famoso monistero de’ certosini sotto il nome di Santo Stefano del Bosco, il cui recinto che costituisce la clausura è intatto, se non che minacciano rovina le sei torri costruite come per ornamento del medesimo”. I libri della biblioteca e i documenti dell’archivio non furono tanto distrutti dal terremoto quanto successivamente dispersi tra varie istituzioni (l’archivio della Cassa Sacra a Catanzaro, il Banco di San Giacomo e l’archivio della Regia suprema giunta di corrispondenza a Napoli) e collezioni private; delle opere d’arte e degli arredi liturgici una parte risulta, effettivamente, perduta, ma una parte rimane tuttora conservata tra la stessa certosa, le chiese di Serra San Bruno, altri luoghi di culto e varie istituzioni museali.